4.9.14

Si Salvini chi può: Razzi sulla Corea del Nord

Chissà se Matteo Salvini e Antonio Razzi hanno dato un’occhiata all’atlante - non pretendo Google Maps - per vedere dove si trovi la Corea del Nord. Massì, sopra la Corea del Sud. Più o meno. Perché se all’approssimazione in geografia, di cui cronicamente soffriamo noi italiani medi (così bene rappresentati da questi due campioni politici), alla Storia non si può perdonare ignoranza. Eppure le dichiarazioni entusiastiche durante e dopo questa simpatica gita aziendale nel più illuminato paradiso comunista (ancora esistente) evidenziano una preoccupante smemoratezza; una leggerezza di giudizio che lascia lievemente perplessi e straniti, a chiederci se effettivamente sia tutto vero quello che ci hanno sempre raccontato. O se l’efferatezza del regime di Pyongyang non sia altro che una precipitosa condanna viziata dal pregiudizio:

Siamo stati onorati e riferiti . Mai avuto un'accoglienza simile. E poi qua fanno miracoli a tutta la gente.

Razzi, capitano dell’Associazione parlamentare dell’amicia Italo-Coreana, ha asserito di essere tornato in Corea del Nord perché in Corea del Nord vale la pensa di andarci per vedere quanto di buono il suo grande “amico” Kim Jong-un (il “Maresciallo”, lo chiama) sta facendo per il suo popolo. Sulla scia dell’esempio di padre e nonno, padroni di una nazione perennemente sull’orlo della catastrofe alimentare, economica e bellica. Ecco, sarebbe bello essere nella testa di Razzi per capire effettivamente quale sia il “miracolo” di un regime che nei confronti del popolo che governa pratica da sempre una repressione e una limitazione delle libertà fondamentali tipica di quei totalitarismi che in Europa abbiamo definitivamente cassato con una guerra mondiale. L’ultima, per inciso. Tra l’altro, sarebbe bello capire se questa missione “parlamentare” sia stata spesata con denaro pubblico… ma questa, magari, è un’altra storia.

L’intervista di Salvini al Corriere non chiarisce molto le idee. Certo, Salvini le ha chiarissime:

Ho visto un senso di comunità splendido. Tantissimi bambini che giocano in strada e non con la playstation, un grande rispetto per gli anziani, cose che ormai in Italia non ci sono più.

Certo, dimmi dove giocano i bambini e ti dirò che Paese sei: abbasso il concetto materialista e consumista di “playstation”. Magari sono cose che non ci sono più perché energia elettrica e piccole “comodità” dell’era moderna non sono un lusso razionato o appannaggio esclusivo della classe dirigente. Evidentemente in Padania e in Italia ci sono altri valori.

Ma se non è quindi questo luogo tetro di terrore impenetrabile, Salvini, che cos’è la Corea del Nord?

Un altro modello che io non demonizzo: non indico come un inferno un sistema che non conosco. Lì lo Stato dà tutto: scuola, casa, lavoro. Insomma, al mondo non c’è solo lo stile di vita americano.

Che sia l’alba di una sorta di dittatura del proletariato padano? Un socialismo del Nord pronto a riscattare le masse oppresse dagli eterni nemici della terra padana? Dipende sempre da che parte, in un sistema del genere, si sta…

Salvini è rimasto così colpito dalla Corea del Nord. Forse per il concetto intrinseco, pregnante, del Nord stesso. Sembra una sorta di proprietà transitiva topologica: Nord è buono, Nord è giusto. Del resto, l’idea leghista di un confine naturale sul fiume Po trova la sua sublimazione storica nel trentottesimo parallelo, che separa le due Coree da quando venne firmato l’armistizio sessant’anni fa. Un unico popolo che parla la stessa lingua, condivide millenni di cultura, scrive nello stesso modo ma guarda al proprio futuro in maniera diversa. Sembrerebbe quasi un modello esportabile, facilmente applicabile. Con la giusta dose di “polso”, magari, capace di tenere per sempre distanti le nemesi dalla pacifica e serena terra padana.

Ma forse sarebbe anche opportuno che Salvini ammettesse, senza scivolare in un atteggiamento pericolosamente “naive”, che della Corea del Nord ha visto esattamente quello che il regime di Pyongyang voleva che vedesse: una sospensione dal tempo e dal giudizio della Storia, una sorta di grande cartolina illustrata vivente, in cui tutto si muove alla perfezione come in un grande fondale di teatro. Culminato nell’esposizione finale del grande orgoglio nazionale nordcoreano, uno che la sua battaglia l’ha combattuta davvero contro un pezzettino di Occidente. Vincendo:

Gli ho fatto conoscere anche Pak Doo-Ik. Quello che ci ha fottuto nel 1966. Ha pure fatto l'imitazione di quel gol. Le mando le immagini della tv abruzzese?

No, grazie onorevole Razzi. Ne abbiamo viste e sentite già abbastanza.

(le citazioni dalle interviste agli onorevoli Antonio Razzi e Matteo Salvini sono tratte rispettivamente da repubblica.it da corriere.it)

3.9.14

Il sorriso di Kim Jong-un

Nei giorni scorsi, parecchie testate online hanno messo in rete un ampio servizio fotografico che ritrae l’estate “impegnatissima” di Kim Jong-un, il paffuto leader della Corea del Nord. In realtà, dietro questi “servizi” c’è tutta la macchina propagandistica del regime, che si avvale dei servigi della KCNA, l’Agenzia di stampa ufficiale nordcoreana per veicolare all’estero l’immagine del Paese e del suo establishment. Un’immagine declinata di volta in volta in base alle necessità relative alla politica interna ed estera del regime: ricordiamo tutti i giorni successivi alla morte di Kim Jong-il (padre dell’attuale dominus), in cui il “cordoglio” fortemente scenografico di un’intera nazione è stato fatto rimbalzare attraverso i satelliti e i siti di tutto il mondo spesso con esiti al limite del comico.

Al netto dei consueti test missilistici e delle costanti recriminazioni nei confronti dell’imperialismo occidentale, recentemente la Corea del Nord sta cercando di diffondere un’immagine di sé particolarmente “rassicurante”. Morsa da una cronica difficoltà economica, inasprita dall’embargo del “Mondo Libero”, è alla ricerca costante di un minimo riconoscimento che addolcisca l’atteggiamento delle potenze mondiali. Dopo le epurazioni famigliari nel proprio entourage, la direzione intrapresa da Kim Jong-un (del quale persino la data di nascita rimane avvolta nel mistero) sembra essere quella di una sorta di distensione, ostentando una serenità e un ottimismo che ha latitato sin dal suo avvento al potere.

L’espressione corrucciata, le guance paffute, il taglio di capelli rigido e un outfit paramilitare, hanno finora dato agli osservatori occidentali una sensazione di rigida sobrietà; ne ha guadagnato l’eco di una ferocia istituzionalizzata (avrebbe fatto squartare uno zio non “allineato” da una muta di cani affamati), che ha lasciato sempre poco spazio ad ammorbidimenti o significativi cambi di rotta. Nemmeno la presenza di un personaggio come il cestista americano (!!!) Denis Rodman ha stemperato un’aura di altero contegno, reso ancor più enigmatico dall’inespressività degli occhi nelle foto ufficiali.

In questa calda estate coreana, Kim Jong-un ha scelto invece di mostrarsi disteso, sorridente, attivo, pieno di energia e iniziativa. Seguito costantemente dai propri “generali”, che pare consumino decine di bloc notes per non perdersi neanche una virgola delle disposizioni del Maresciallo della Corea del Nord (supremo grado della scala gerarchica militare), Kim Jong-un è stato visto sorridente e divertito in una fabbrica di biscotti, in un cantiere edile, in un’industria alimentare. Anche, incredibilmente, con una sigaretta accesa tra le dita. La grigia e rigida divisa con il colletto alla “coreana” (potrebbe essere altrimenti) ha lasciato posto ad ampi panatloni e ad una comoda camicia a maniche corte bianca. Scelte che avvicinano Kim Jong-un alla gente comune molto di più di quanto non avessero mai fatto il padre e il nonno.

Ma proprio il padre, Kim Jong-il, e il nonno, Kim Il-sung, nell’iconografia ufficiale sono rappresentati da sempre con un sorriso smagliante: prova rassicurante e sempre valida che lo Stato totalitario al di spora del 38° parallelo è sempre e comunque il migliore dei mondi possibili. Il Caro Leader (Kim Jong-il) e il Grande Leader (Kim Il-sung) sono due padri della patria nordcoreana che ammiccano dall’alto delle enormi riproduzioni di regime sul popolo coreano, con lo sguardo rivolto ad un orizzonte futuro che sembra non conoscere confini e ostacoli. E’ il sorriso di chi guarda in faccia la Storia e sembra carpirne il segreto, la celebrazione costante di un’epifania che ha del miracoloso: ivi inclusa la leggenda secondo cui Kim Jong-il sia nato sulle pendici del monte Paektu, il giorno in cui comparvero in cielo due arcobaleni e una stella brillante…

E’ probabile che l’iconografia grigia e austera del Grande Successore sia stata funzionale, quantomeno nel periodo iniziale del proprio governo sul Paese, per acuire e diffondere la sensazione che si dava corso esattamente a quello che ci si sarebbe aspettato da un leader della sua caratura: sistemare le resistenze interne, reprimendo spinte disgregative del potere, perso nei mille rivoli di una società fortemente stratificata e in cui il potere stesso è appannaggio di una ristretta cerchia di dignitari. Non sapremo mai quanto questa resistenza (se mai ce ne sia stata una) fosse strutturata, forte, organizzata; ci è stato lasciato intendere che le azioni nei confronti dei “dissidenti” sono state eseguite con il piglio autoritario che la tradizione del potere nordcoreana ha tramandato ormai da tre generazioni.

Ora il sorriso del Maresciallo Kim Jong-un può essere letto come la fine di una stagione politica interna, in cui è stata effettuata quella “pulizia” necessaria ad ogni apparato di regime per potere sussistere, magari alimentata da una certa dose di paranoia? E il ritrovato sorriso su un faccione quasi bonario, paffuto, ma capace anche di esprimere tutta l’autorevolezza e l’autorità di un leader che si sporca le mani, che ha le mani in pasta (di biscotti), che sa leggere il progetto di un grande complesso edile, è il segnale interno, ma soprattutto esterno, che la Corea del Nord si sta aprendo ad una nuova stagione in cui la parola d’ordine potrebbe essere “distensione”? Distensione chiaramente funzionale ad attrarre quelle simpatie all’estero necessarie ad allentare la morsa del blocco alle importazioni, che fa della Corea del Nord, per certi versi, il Paese più autarchico del pianeta.

Ma non è stato così forse anche per il sorriso del Grande Leader, presidente eterno della Repubblica Popolare Coreana, o per quello del Caro Leader al cui funerale milioni di persone in tutta la nazione si sono strappate vesti e capelli (letteralmente)?

Nientemeno quello stesso sorriso ineffabile, che ha guidato un popolo verso umiliazioni, carestia, incastonato nel cemento e nel silenzio senza tempo, atopico, utopico e indecifrabile, di Pyongyang.

25.8.14

Eliot Higgins, Bellingcat.com e l’open source information

Eliot Higgins è il blogger inglese autore di Brown Moses Blog, emerso dalle nebbie della blogosfera per avere individuato - con un certo margine di confidenza - la località in cui sarebbe stato decapitato il giornalista freelance James Foley da parte dei ribelli dell’ISIS.

Pur non essendo a sua volta un reporter freelance, Higgins ha analizzato approfonditamente il video della decapitazione alla ricerca di indizi utili ad individuare la località che non è stata resa nota dall’informazione “istituzionale”.

Quello che fa Higgins è un giornalismo di inchiesta “privato” e si basa essenzialmente su tutta una serie di informazioni che possono essere recuperate in rete: la stessa piattaforma che ha fondato e di cui ha curato il kickoff, Bellingcat, si autodefinisce for and by citizen investigative journalists.

Nel caso del truce e drammatico video in cui Foley perde la vita, Higgins ha isolato i soggetti dallo sfondo, evidenziando una serie di peculiarità e confrontandole via via per mezzo di Google Earth, Panoramio e altri filmati in rete, individuando alla fine come il probabile luogo delle esecuzioni sia una non meglio precisata località a sud di Raqqah, in Siria. Proprio dove, nel luglio scorso, venne tentato un blitz per liberare i prigionieri dell’ISIS da parte dei corpi speciali americani; blitz fallito, in quanto i ribelli avevano già spostato i prigionieri in altra località.

Seppure non suffragato da conferme “ufficiali”, quello che Higgins fa è ribaltare letteralmente i piani, capovolgendo la prospettiva a cui l’informazione tradizionale ci ha abituato e a cui inevitabilmente siamo assuefatti. Mentre nel linguaggio mediatico tradizionale il pubblico è fruitore passivo della notizia e dell’evento, mediato dal provider delle informazioni medesime (giornali, TV, siti web “statici”), con il giornalismo “open-source” è il pubblico stesso che viene incoraggiato a prendere parte all’informazione stessa. Non è solo un invito alla verifica della “notizia”, ma è soprattutto un invito a entrare in prima persona, attraverso le infinite vie della rete, nella notizia stessa. Contribuendo, semmai, all’approfondimento e alla condivisione delle informazioni che la costituiscono.

E’ la stessa descrizione di Bellingcat, su Kickstarter, ad essere eloquente:

bellingcat.com will unite citizen investigative journalists to use open source information to report on issues that are being ignored.

Il giornalismo di inchiesta, spesso esercizio esclusivo di reporter più o meno affermati, freelance e semplici appassionati di genere, ora apre ad un approccio rivoluzionario e amplia i propri orizzonti, in una sorta di role playing game in cui lo scenario non è fittizio ma è realtà e in cui il concetto di avatar stesso viene inevitabilmente rovesciato: non più una “maschera”, ma enhanced reality a tutti gli effetti.

E’ come se ci si trovasse all’interno di un web disegnato direttamente da Escher: scale infinite che si inseguono, l’osservatore che si ritrova ad essere osservato, chiavi che aprono tutte le porte o nessuna: il fruitore finale del medium è parte integrante del medium stesso, nella misura in cui contribuirà a veicolare - arricchendolo - il messaggio allo step successivo di fruizione, in un susseguirsi continuo di porte che si aprono su camere sempre diverse.

Il progetto di Higgins potrebbe essere l’alba di un nuovo modo di fare giornalismo, sempre più vicino al modello “anglosassone” (molto più liberale) e sempre meno al modello “italiano”. Non è un caso se - con toni e sfumature diverse - il dibattito sull’abolizione del famigerato “Ordine dei Giornalisti” serpeggia anche tra i banchi del nostro Parlamento. Certo, anche il giornalismo “aperto” avrà la necessità di trovare un codice, quantomeno un codice deontologico, per evitare che diventi un’unica melassa di link e percorsi a fondo cieco.

Ma questo modo di raccogliere e veicolare le informazioni è una medaglia che ha inevitabilmente un altro “rovescio”: la possibilità di raccogliere informazioni, incrociarle, verificarle, validarle, è imprescindibile da un web libero e senza limitazioni. L’esperienza della Primavera Araba ci ha insegnato che la capacità di “oscurare” la rete, i social network e la diffusione delle notizie è semplicemente… a portata di click. Nulla potrebbe vietare che il meccanismo stesso venga “infiltrato” ad arte al fine di ottenere un efficace depistaggio o la mistificazione delle informazioni. E’ forse questa la vera prova di maturità dell’open source information e il tempo ce lo dirà.

Ma senza una rete libera da lacci, lacciuoli, assurde costrizioni legali e veramente fondata sulla libertà di opinione, parola e pensiero, verrebbe messo in discussione non solo il giornalismo d’assalto “duepuntozero”. Verrebbe forse messo in discussione persino l’impianto intero della nostra società (soprattutto quella occidentale), colpevole troppo spesso di dare la propria libertà (in senso lato) per scontata.

22.8.14

Il "miracolo" di Atlanta

Kent Brantly e Nancy Writebol ce l’hanno fatta. Sono stati entrambi dimessi dall’ospedale di Atlanta in cui erano ricoverati dagli inizi di agosto, dopo essere stati colpiti dal virus Ebola e trasportati in fin di vita dalla Liberia agli Stati Uniti. Repubblica.it riporta la nota del portavoce di Samaritan’s Purse, la ONG cristiana per la quale i due operatori sanitari erano in servizio al momento del contagio:

Oggi mi unisco agli operatori di Samaritan's Purse in tutto il mondo per ringraziare Dio, mentre celebriamo la guarigione del dottor Kent Brantly dall'ebola e le sue dimissioni dall'ospedale.

Di “miracolo” parla lo stesso Brantly nella conferenza stampa immediatamente precedente alla sua dimissione dall’istituto di cura, visibilmente provato e dimagrito. Certo, l’immagine del medico eroe, che piace tanto alla letteratura e alla cinematografia, si rafforza inevitabilmente. Forse sta anche questo alla base del suo fortissimo appeal mediatico: trentatré anni, folta barba rossiccia che ricorda qualche chirurgo tutto d’un pezzo uscito da un medical drama di prima serata… per il Samaritan’s Purse e per tutta la vicenda sviluppatasi attorno nell’ultimo mese è diventato inevitabilmente un’icona. Molto più riservata invece la Writebol, che è stata dimessa ancora martedì scorso per proseguire la convalescenza in una località segreta, lontano da occhi indiscreti. E da microfoni indiscreti, oserei dire.

Tutto sommato Brantly è anche un’icona di speranza nei confronti dell’epidemia di Ebola, che ormai sta viaggiando verso le duemila vittime e un numero pressoché doppio di contagiati. Un tasso di mortalità del cinquanta percento, stando a quelli che sono i dati ufficiali raccolti dall’OMS. E proprio in queste ore, il Sudafrica chiude le proprie frontiere ai viaggiatori provenienti dalle aree colpite, mentre in Congo vengono segnalati settanta morti per una febbre emorragica di origine “non definita”.

Non è dato sapersi se dietro la guarigione dei due operatori umanitari ci sia ZMapp, il “siero miracoloso” di cui abbiamo già parlato in queste pagine. Quantomeno, non sappiamo se ci sia solo ZMapp o se invece il protocollo di cura abbia attinto ad altri farmaci, più o meno approvati, più o meno sperimentali. Lo afferma lo stesso Bruce Ribner, direttore dell’unità malattie infettive dell’Emory University Hospital (sempre su Repubblica.it):

"Non abbiamo idea se il composto sperimentale usato sui pazienti abbia funzionato per la loro guarigione" - ha precisato Ribner, sottolineando di "non poter divulgare informazioni coperte dalla privacy" sulle cure a cui i due pazienti sono stati sottoposti.

ZMapp è stato infatti utilizzato, come è stato chiarito immediatamente dall’azienda produttrice, la Mapp Biopharmaceutical, in deroga al protocollo di sperimentazione sugli esseri umani della FDA: tale deroga prevede che le scelte terapeutiche su esseri umani di un composto sperimentale spettino, in questo specifico caso, all’équipe medica responsabile delle cure del paziente.

Il tempo ci dirà se ZMapp è effettivamente il farmaco che ha consentito questa vittoria sul virus Ebola. Più che altro perché potrebbero apririsi degli scenari inattesi e dorati per le due aziende coinvolte, Mapp e Defyrus, che sicuramente cureranno i loro interessi nel garantire un esito positivo dei necessari passaggi dei test clinici del farmaco. H&P Labs , come già evidenziato nel post precedente, ha tutte le armi per poter operare efficacemente in tal senso, aprendo le porte della grande industria farmaceutica al “siero miracoloso”. E ai relativi, lauti, guadagni.

Ho sempre ammirato le persone ricche di fede: chi crede veramente, ha la possibilità di potere attingere a una riserva di speranza che si accresce in maniera direttamente proporzionale al rafforzarsi della convinzione medesima. Sono sicuro che questo meccanismo (umanissimo) sia anche alla base dei pensieri e delle parole dei protagonisti di questa vicenda; a maggior ragione se non è in discussione la grande fede che anima queste persone, che operano per una ONG di matrice cristiana dal passato piuttosto controverso (costituitasi e radicata in un Texas profondamente conservatore).

Al di là di questo, io credo che in questa storia non ci siano davvero né favole né miracoli in cui credere. Ci sono da un lato gli interessi di un paio di scaltre aziende semigovernative e paramilitari che hanno portato avanti una propria ricerca con scopi precisi, circostanziati. E dall’altro c’è un protocollo scientifico, documentato e documentabile, per mezzo del quale si è arrivati ad una cura probabilmente efficace a un virus che causa una febbre emorragica.

I due fattori hanno collimato nella guarigione dei due americani, colpendo l’immaginazione e il cuore dell’opinione pubblica statunitense, sospesa da sempre tra il positivismo progressista di una “gaia scienza” in cui tutto diventa possibile e il conservatorismo integralista della propria fede in Dio e della propria “provincialità” religiosa. La loro capacità di sintesi sta tutta qui: “In God We Trust”. E lo incidono addirittura su quello che di più umano e secolare esista: il denaro.

In una Nazione fortemente condizionata dallo scontro razziale (come accade nelle ultime settimane), dall’eterna corsa alla ricchezza, dalle contraddizioni sociali, dalla sindrome costante di chi il mondo lo deve in qualche modo “controllare” per garantirgli libertà e sicurezza, questa storia è forse un esempio di come l’America continui ad alimentare il mito di sé, del proprio sogno e delle proprie opportunità. Anche di fronte ad un nemico infinitamente piccolo, strisciante, infido e ineffabile come lo è un virus: una sorta di mitologia della nemesi a cui contrapporre i propri martiri. Ma soprattutto i propri eroi.

16.8.14

Se vogliamo credere alle favole...

Il 6 agosto scorso è uscito sul Corsera, edizione web, un fondo di Massimo Gaggi intitolato Ebola e il «miracolo» del siero segreto. Sviluppato in due micro-aziende usa. Il pezzo racconta come dietro alla quasi guarigione del medico Kent Brantley e della missionaria Nancy Writebol ci sia un “misterioso” siero chiamato ZMapp, somministrato ai due mentre erano ancora in Africa, prodotto da una piccola e semisconosciuta azienda biotech americana, la Mapp Biopharmaceutical. Non posso altro che rallegrarmi se la terapia ha avuto successo: la vita umana ha sempre un valore assoluto. Ma è la chiusura dell’articolo che mi lascia un po’ perplesso:

Dove non arrivano le multinazionali del farmaco (Ebola è una malattia troppo rara per i loro livelli di fatturato) né la ricerca del governo federale Usa, la risposta viene — forse questo è il vero miracolo — da una piccola impresa.

Quando, ancora il 4 agosto scorso, sempre sul Corsera, è stata riportata la notizia CNN secondo cui i due americani sarebbero stati trattati con il “siero” (che più propriamente è un vero e proprio farmaco), mi sono messo a cazzeggiare per la rete in cerca di informazioni sull’argomento, per cercare di capirne qualcosa di più. Si sa, ormai è tutto - o quasi - online. E basta sapersi muovere con un minimo di disinvoltura nei motori di ricerca per trovare le giuste informazioni.

Il virus Ebola. E gli altri.

Facciamo un minimo di chiarezza. Il virus Ebola appartiene alla famiglia dei filovirus. Al microscopio elettronico assomiglia ad un bastoncino con un’estremità spesso arrotondata, che alcuni testi tecnici addirittura definiscono come “bastone pastorale”. E’ un virus a RNA: significa che le informazioni che il virus utilizza per replicarsi - esclusivamente mediante le cellule dell’organismo ospite - sono contenute in un acido nucleico relativamente più semplice e ridotto rispetto a quello che, ad esempio, costituisce il nostro patrimonio genetico (DNA). Come tutti i virus, è una “entità biologica”: non ha le caratteristiche di un essere vivente, in quanto deve per forza essere un parassita di altri organismi per potersi replicare; ma è costituito da materiale genetico proprio degli esseri viventi (l’RNA), strutturato organizzato in geni. E’ quindi a metà strada tra il mondo inanimato delle molecole e quello dei viventi: potrebbe essere aperto un dibattito filosofico su questo tema e avrebbe di per sé un enorme fascino. Ma non aggiungerebbe nulla di più a quanto basta sapere di che cosa stiamo parlando.

L’infezione virale causata da Ebola rientra in quelle che la medicina definisce “febbri emorragiche”; ed è in buona compagnia. Dengue, Febbre Emorragica di Crimea e Congo (CCHF), Febbre di Lassa (LHF), Febbre Emorragica di Marburgo (MHF). Si tratta di infezioni la cui mortalità è molto elevata. E nonostante la suggestione dei termini medici, non immaginatevi i pazienti infetti come una sorta di “zombi”: la letteratura riporta come i malati cadano in uno stato catatonico allo stadio finale della malattia, vittime di debolezza estrema, con il viso completamente inespressivo. La morte sopraggiunge per il collasso degli organi interni, per shock ipovolemico (emorragia massiva) e per svariate complicazioni che compromettono le funzioni vitali.

Ma una “buona” notizia c’è: questi virus si trasmettono per contatto interumano attraverso i fluidi dei malati, la saliva, il vomito, il sangue infetto. Non si trasmettono per via aerea come il virus dell’influenza o del raffreddore. Chiaramente, l’infettività aumenta laddove le condizioni igienico-sanitarie sono più carenti e dove la prevenzione stessa - a fronte dell’insorgenza di un focolaio - è meno efficace.

Gran parte di questi virus è di origine zoonotica: i serbatoi naturali risiedono in organismi animali che non sviluppano i sintomi e la malattia, ma costituiscono un esercito enorme di “portatori sani”. I più gettonati sembrano essere roditori e pipistrelli: animali che spesso entrano nella catena alimentare umana o di altre specie che a loro volta entrano nella catena alimentare degli uomini. L’abitudine di mangiare grossi roditori è diffusa in tutta l’Africa Subsahariana: lo testimoniano ad esempio Joseph McCormick e Susan Fisher-Hoch nelo loro libro Cacciatori di virus, che racconta le loro esperienze africane nella lotta alla Febbre di Lassa. Una malattia molto simile all’infezione da Ebola.

L’outbreak dell’estate 2014

Nel marzo di quest’anno, la Guinea Equatoriale ha confermato il persistere di un’epidemia di Ebola nel paese, in cui sarebbe stata colpita anche la capitale. Nei mesi successivi, i Paesi limitrofi (Liberia e Sierra Leone) hanno dichiarato l’insorgenza di focolai all’interno dei rispettivi territori. In tutti gli Stati interessati, i casi conclamati e i morti accertati per Ebola sono ormai centinaia. Il rischio che si estenda effettivamente ad altri Paesi è molto elevato, anche se secondo l’OMS (che ha pubblicato una pagina dedicata ad Ebola) è piuttosto “improbabile” che Ebola possa varcare i confini delle zone interessate seguendo il fisiologico flusso di turisti e viaggiatori abituali:

The risk of a tourist or businessman/woman becoming infected with Ebola virus during a visit to the affected areas and developing disease after returning is extremely low, even if the visit included travel to the local areas from which primary cases have been reported. Transmission requires direct contact with blood, secretions, organs or other body fluids of infected living or dead persons or animal, all unlikely exposures for the average traveller. Tourists are in any event advised to avoid all such contacts.

Allo stato attuale, sono stati colpiti i due missionari americani, un cittadino spagnolo (rimpatriato e morto a Madrid il 13 agosto 2104) e sono stati registrati isolati casi in Nigeria e Arabia Saudita.

Lo spettro di un’arma batteriologica

Per ogni notizia un po’ “esotica” esiste un esercito di cospirazionisti pronto a fare ampia dietrologia. Ebola non fa eccezione. A questo ha contribuito una vastissima letteratura e cinematografia: del resto il fascino dell’ageste patogeno mortale, invisibile, capace di azzerare l’umanità è enorme.

Ma l’uso di agenti patogeni e batteriologici come arma è una scienza, e per di più gestita da apparati militari. Ne consegue che di letterario o cinematografico ci sia ben poco.

Ebola non ha un grande appeal come arma batteriologica: è raro, difficile da reperire, ha bisogno di un serbatoio naturale e si trasmette quasi esclusivamente per contatto interumano (non per via aerea). Gli agenti patogeni ideali per la guerra batteriologica sono semplici, facilmente reperibili e si diffondono per via aerea. Virus relativamente più banali come quelli dell’influenza o del raffreddore, ad esempio, si trasmettono con molta più efficacia.

Questi tipi di virus rischierebbero di uccidere gran parte della popolazione infettata molto prima che lo stesso agente patogeno possa diffondersi efficacemente; è più o meno lo stesso principio per cui le armi del futuro (e del presente) si preoccupano di “immobilizzare” il nemico e creare un danno a lungo termine, piuttosto che ridurlo ai minime termini. Ci sono teorici e strateghi convinti che una guerra tra superpotenze si combatterebbe, ancora oggi, con armi assolutamente convenzionali. Anche perché il business di una guerra a lungo termine, sarebbe maggiormente “desiderabile” da parte di un certo tipo di establishment. E la guerra batteriologica dovrebbe soddisfare questi requisiti, né più né meno.

A chi pensa che dietro queste epidemie (inclusa l’aviaria e la SARS) ci sia lo zampino dell’uomo, che sia qualche esperimento sfuggito di mano o che addirittura ci siano committenti targati “Illuminati” o “NWO”, suggerirei di non avere troppa fiducia nella malvagità dell’essere umano: ci pensa in realtà la natura, in via del tutto autonoma, come da processo ampiamente sperimentato e perfezionato in milioni di anni…

Il ruolo della Mapp Biopharmaceutical

Fatte le dovute premesse, veniamo al “miracolo” di Atlanta, targato Mapp Biopharmaceutical. Uno sguardo al sito della società basata in California non fornisce particolari informazioni. Anzi, non ne dà proprio. Non ci sono link diretti allo staff, il riferimento alle pubblicazioni è piuttosto generico; all’indirizzo della Società, Streetview di Google Maps lascia intravedere un largo e anonimo edificio, dove probabilmente sono registrate molte altre aziende. Gli unici riferimenti a persone riguardano Larry Zeitlin, Presidente della scoietà e Jeffrey D. Turner, Presidente (!) della società e anche CEO della stessa.

Di cosa si occupa la Mapp Biopharmaceutical?

Essenzialmente di produrre anticorpi monoclonali (mAb). La tecnologia è ampiamente conosciuta ed è una delle più “antiche” nell’ambito della biologia molecolare (risale ai primi anni Ottanta). Dato un determinato antigene (un frammento di uno specifico virus, ad esempio), questi anticorpi vengono replicati da un’unica linea cellulare immnitaria: questo permette loro di potersi “agganciare” con efficacia a tutte quelle entità biologiche (cellule, virus o batteri) che riportino l’antigene stesso. Di conseguenza, questo riconoscimento stimola le cellule di difesa presenti nell’organismo a reagire, mediando e amplificando questa capacità di reazione. Gli anticorpi monoclonali, utilissimi per identificare determinate cellule e per “targettare” le cellule tumorali, sono oggetto di un’ampia sperimentazione e crescente interesse: potrebbero essere, di fatto, l’arma più potente per il trattamento di alcune forme tumorali e malattie rare. Ma anche di determinate infezioni da virus.

Nello specifico del prodotto ZMapp, si tratta essenzialmente di:

… three “humanized” monoclonal antibodies manufactured in plants, specifically Nicotiana. It is an optimized cocktail combining the best components of MB-003 (Mapp) and ZMAb (Defyrus/PHAC).

Questo factsheet è quello ufficiale pubblicato dalla Mapp.

E come si capisce chiaramente, non è tutta farina del sacco dell’azienda californiana…

La Defyrus Inc.

La Defyrus Inc. è un’azienda di biotecnologie canadese. La mission dell’azienda campeggia nella home page della Società (che sembra un po’ più strutturata e articolata rispetto a quello della Mapp); e non lascia adito a dubbi di sorta:

Defyrus is a private life sciences biodefence company that collaborates with public health agencies and military R&D partners in the United States, United Kingdom and Canada to develop and sell broad spectrum anti-viral drugs and vaccine system as medical countermeasures to bioterrorist threats and emerging infectious diseases.

Abbastanza chiaro? La Defyrus, di mestiere, fa ricerca sulle contromisure ad attacchi bioterroristici (quantomeno alle minacce di bioterrorismo!) e sulle malattie “emergenti”. Ovvero, quanto di più spaventoso e micidiale esista sulla faccia della terra: dalla grande famiglia delle febbri emorragiche alle encefaliti, passando attraverso Febbre Gialla e SARS. E questo mestiere lo fa grazie al sostegno di agenzie governative e grazie ai dipartimenti di ricerca e sviluppo (R&D) dell’apparato militare USA, britannico e canadese.

Basta dare un’occhiata ai “partner” della Defyrus per capire chiaramente con chi abbiamo a che fare:

National Institute for Allergy and Infectious Disease (NIAID) - Office of Biodefense Research Affairs (Bethesda, Maryland, USA): Defyrus’ collaboration with NIAID’s OBRA involves the funding and prosecution of the full range of IND-enabling Therapeutic Development Services that include: planning, prosecuting and analysis of in vivo safety, biodistribution and toxicology studies for DEF201. To date, the pilot and principle safety studies have been completed at SRI International (Palo Alto, CA) under NIAID contract.

National Institute for Allergy and Infectious Disease (NIAID) - Division of Microbiology & Infectious Diseases (Bethesda, Maryland, USA): Under a Non-clinical Evaluation Agreement signed March 12, 2009 and then extended March 4, 2011, Defyrus is collaborating with NIAID’s DMID group to comprehensively evaluate the in vivo efficacy of both DEF201 and Aderon™ against a wide variety of biodefence and public health viral pathogens. Under the terms of the agreement, Defyrus provides DEF201 to various NIAID contractors who evaluate it for efficacy in well characterized animal models of human disease. To date, Defyrus has completed over 55 in vivo studies in various animal species providing a wealth of efficacy and safety data on seven viral families. These promising results have been published jointly with Defyrus and NIAID’s contractors at the Institute for Antiviral Research, Utah State University in various scientific publications (see publications section). This efficacy data informs the upcoming IND filing for DEF201.

United States Army Medical Research Institute for Infectious Disease (USAMRIID) – Virology Division (Frederick, Maryland, USA): Under a Collaborative Research and Development Agreement signed, March 11, 2011 with the Virology Division of USAMRIID, Defyrus is investigating a series of in vivo efficacy studies with Aderon™ as a potential prophylactic against Togaviruses in combination with various DoD vaccines. The initial results of this collaboration were presented at the 10th Annual ASM Biodefense and Emerging Disease Research Meeting in Washington, DC.

Public Health Agency of Canada (National Microbiology Laboratory; Winnipeg, Manitoba, Canada): Under a Collaborative Research Agreement, signed March 29, 2010, Defyrus and the Special Pathogens Branch of PHAC have evaluated the efficacy of our drug candidates for the treatment of severe hemorrhagic fever diseases such as Ebola or Lassa Fever viruses These studies have provided IND-enabling efficacy results illustrating excellent survival data in multiple animal models of Ebola infection (Zaire strain). ZMAb is advancing toward clinical evaluations under the direction of LeafBio (see Products page).

Defence Research and Development Canada (DRDC; Suffield, Alberta, Canada): Under a Memorandum of Understanding signed September 19, 2008 and a Collaborative Research Agreement signed June 1, 2009, DRDC funds and prosecutes the evaluation of DEF201 against various Alphaviruses (e.g. Eastern Equine Encephalitis) at DRDC’s facilities. Earlier pioneering work with DEF201 against Western Equine Encephalitis conducted at DRDC has been published (Wu et al, 2007 Virology 369: 206-213).

La Defyrus Inc. è quindi un contractor della Difesa: sia quella americana (USAMRIID) che di quella canadese (DRDC). Non solo: riceve grant di ricerca e fondi anche dalla Sanità statunitense (NIAID-NIH) e da quella canadese (PHAC). A tutti gli effetti, questa ricerca è finanziata dai cittadini americani e canadesi, con scopi che sono sia militari che di salute pubblica. E lo è almeno dal 2008, anno in cui viene siglato un primo memorandum con il DRDC. Queste e altri informazioni si possono recuperare nella pagina delle press releases di Defyrus.

DEF201, il purosangue di Defyrus Inc.

DEF201 è il prodotto di punta della Defyrus. Ed è effettivamente la gallina dalle uova d’oro che ha permesso alla Defyrus di entrare dalla porta principale nel sistema di finanziamenti pubblici americani e canadesi.

DEF201 has been designed to maximize patient immunity to respond to challenges with speed and vigor to suppress disease pathogens.

Si tratta essenzialmente di un farmaco, capace di aumentare la risposta dell’organismo ospite a fronte di infezioni virali; non si tratta, tecnicamente, di un vaccino. Non garantisce immunità a priori da un determinato agente patogeno (possibilmente per lunghi periodi, se non addirittura per sempre), ma di un farmaco capace di stimolare nell’organismo ospite la produzione di proteine chiamate interferoni. Questa classe di proteine è naturalmente prodotta dalle cellule dell’organismo e serve fondamentalmente a coadiuvare la risposta immunitaria cellulo-mediata naturale.

Inoltre:

DEF201 has been assessed in >80 different in vivo models of viral infection (representing 13 viruses in eight different viral families) and has shown significant survival benefit in all. Thus, DEF201 represents a true broad spectrum antiviral, capable of activity against a wide range of infectious diseases. This illustrates a departure from the traditional “one-bug, one-drug” approach, and leaves the door open to potentially treat new viruses that might not even exist today.

DEF201 è un farmaco antivirale ad “ampio spettro”. Quanto di più vicino ad una “panacea”, un superfarmaco capace di agire su uno spettro vastissimo di patogeni; primi su tutti virus per i quali le attuali terapie di sostegno (le uniche accreditate dalla medicina) sono inefficaci o malattie per le quali non è stato sviluppato nessun vaccino. Ma per stessa ammissione della Defyrus anche indicato per trattare “nuovi virus che non esistono al giorno d’oggi” (!!!).

Un superfarmaco, quindi, destinato a “supersoldati”?

E’ chiaro che l’interesse per un approccio del genere, da parte degli ambienti militari, sia grande. E vediamo perchè:

  • ad oggi il programma di vaccinazione della sanità militare è esteso a tutto il personale, con notevole dispendio economico: le forniture devono essere mantenute costanti, i vaccini vanno stoccati e conservati;
  • il vaccino offre immunità permanente (o a lungo termine) per un solo tipo di malattia, secondo la logica “un vaccino-una malattia”;
  • in caso di attacco con armi batteriologiche, verrebbe minimizzato il rischio di una inadeguata “copertura” nei confronti di svariati agenti patogeni;
  • un farmaco del genere permetterebbe una risposta in tempo zero in caso di attacco (mentre il vaccino implicherebbe un tempo minimo per l’individuazione dell’agente batteriologico, la fornitura del vaccino, la somministrazione e il tempo necessario affinché sia avvenuta l’immunizzazione);
  • i rischi di effetti collaterali (per quanto minimi) dovuti alla vaccinazione verrebbero così azzerati.

La Joint Venture tra Mapp e Defyrus

In una press release del luglio 2013, la Defyrus ha annunciato una Joint Venture con la Mapp Biopharmaceutical, volta a convogliare gli sforzi per commercializzare farmaci per la terapia delle malattie da filovirus (tra cui Ebola, Marburgo, Encefalite equina, ecc.) per mezzo di anticorpi monoclonali. Esattamente un anno fa, come si legge nel documento, lo stato dell’arte era il seguente:

Mapp Bio is developing MB-003 in collaboration with lead investigator Dr. Gene Olinger, US Army Medical Research Institute of Infectious Disease (USAMRIID) and funding from the National Institutes of Health and the Defense Threat Reduction Agency. Defyrus is developing ZMAb in collaboration with Dr. Gary Kobinger, Public Health Agency of Canada (PHAC) and funding from the Canadian Safety & Security Program of Defense R&D Canada. With this group, the JV will commercialize and market one superior combination mAb drug.

In buona sostanza, mentre la Mapp (californiana) aveva supporto operativo ed economico da parte dell’USAMRIID, la Defyrus otteneva sostegno e fondi dalle Autorità canadesi. Nel luglio del 2013 non erano stati segnalati casi di Ebola e le infezioni da filovirus comparivano come rumore di fondo nei bollettini dell’OMS, al limite dell’incidenza statistica…

Il 15 luglio 2014, in piena crisi sanitaria, Defyrus annuncia di avere stretto un accordo con LeafBio, il braccio commerciale della Mapp Biopharmaceutical, concedendo la licenza a produrre e commercializzare ZMapp, il farmaco miracoloso che avrebbe salvato la vita agli operatori americani colpiti da Ebola e in seguito rimpatriati. Il prodotto finale è una sorta di ibrido tra MB-003 e ZMAb: quanto di meglio la biotecnologia basata sugli anticorpi monoclonali può offrire oggi. E il fatto che la licenza sia rilasciata ad un’azienda americana risponde alla necessità di rendere più agile e veloce il procedimento di “licenza” da parte della FDA, la Food And Drug Administration. Anche perché ad oggi la sperimentazione ha dato significativi risultati in laboratorio e marginalmente in vivo; sugli esseri umani non è nemmeno stata autorizzata:

ZMappTM was first identified as a drug candidate in January 2014 and has not yet been evaluated for safety in humans. As such, very little of the drug is currently available.

Il caso specifico di Brantley e della Writebol è stata probabilmente la prima sperimentazione diretta su esseri umani; quantomeno, la prima sperimentazione su esseri umani che sia stata resa pubblica. Non sappiamo se il farmaco sia stato in qualche modo testato in precedenza sull’uomo.

L’information sheet su ZMapp (rilasciato sia sul sito della Defyrus che su quello della Mapp Biopharmaceutical) rivela chiaramente come i protocolli sperimentali del farmaco siano abbastanza… elastici:

Any decision to use an experimental drug in a patient would be a decision made by the treating physician under the regulatory guidelines of the FDA.

Tuttavia, il 12 agosto 2014 la LeafBio/Mapp annuncia di avere esaurito tutte le scorte di ZMapp disponibili; dato il carattere “sperimentale” del farmaco viene ribadito lo stesso concetto espresso nell’information sheet, ossia che ogni utilizzo del farmaco (non ancora approvato per l’uso umano) viene fatto esclusivamente dal medico del paziente:

August 12, 2014 at 8:30 AM - The available supply of ZMapp™ has been exhausted. We have complied with every request for ZMapp™ that had the necessary legal/regulatory authorization. It is the requestors’ decision whether they wish to make public their request, acquisition, or use of the experimental drug. Any decision to use ZMapp™ must be made by the patients’ medical team. Drug has been provided at no cost in all cases.

Entra in scena la H&P Labs

Qualche giorno prima, il 6 agosto 2014, la Defyrus rende noto, in un comunicato congiunto, l’accordo raggiunto con la H&P Labs, una società canadese specializzata nella cosiddetta fase “preclinica”. Vale a dire quella fase che intercorre tra l’individuazione di un farmaco “candidato” e i test sugli esseri umani, attraverso le cosiddette CRO: Clinical Research Organisation (in italiano “Organizzazione di Ricerca a Contratto”). La H&P Labs, quindi, dovrà in qualche modo “oliare” il meccanismo necessario a ZMapp per passare da “siero misterioso” a farmaco che soddisfa tutti i requisiti necessari per essere utilizzato, di fatto, sugli esseri umani. In base a questo accordo, quindi, H&P Labs assume tutti i “diritti” di sfruttamento di DEF201:

Under the terms of the agreement, H&P Labs was granted exclusive, worldwide rights to DEF201, Defyrus’ non-replicating adenoviral vector-5 expressing human consensus interferon alpha (IFNα). H&P Labs will assume the financial and operational responsibility for all DEF201 clinical programs moving forward.

In pratica Defyrus ha “piazzato” un altro suo prodotto, il suo cavallo di battaglia, ad una Socità che dovrà garantirene l’ulteriore sviluppo, il passaggio da fase preclinica a test su esseri umani. I diritti derivanti da questi “oneri”, naturalmente, prevedono anche l’eventuale commercializzazione del prodotto finale qualora soddisfi tutti i requisiti previsti per l’utilizzo da parte degli esseri umani. Ed è probabile che - grazie all’esperienza degli operatori della H&P Labs- questo passaggio possa arrivare con una certa… celerità.

Non c’è dubbio sulle capacità e le “entrature” dello staff dirigente alla H&P Labs:

  • John-Michel T. Huss, Presidente e CEO: in precedenza Presidente e CEO della Theratechnologies, negli ultimi 20 anni ha lavorato per Sanofi, Hofmann-LaRoche, Merck & Co.;
  • Krishna Peri, Vice-Presidente e CSO: fondatore della Pharma G Inc., poi acquisita dalla Theratechnologies nel 2000, di cui è stato anche Vice-Presidente;
  • Marc Cluzel, founding partner di H&P; ex Executive Vice-President dell’R&D (Ricerca e Sviluppo) di Sanofi; siede tra l’altro nel Board of Directors di Morphosys AG, una società tedesca specializzata nello sviluppo di anticorpi terapeutici che vanta innumerevoli partnership con la crème dell’industria farmaceutica mondiale.

Riassumendo…

  1. Mapp Biopharmaceutical (per mezzo della controllata LeafBio) ha sviluppato una linea di anticorpi monoclonali (MB-003) specifici per il virus Ebola, con fondi provenienti dal NIH e la Defence Threat Reduction Agency;
  2. Defyrus Inc. ha dal canto suo sviluppato ZMAb, una sorta di “portfolio” di anticorpi specifici per determinati virus, ampliando lo spettro di azione, con il grant della PHAC canadese;
  3. Defyrus ha licenziato la produzione e lo sviluppo del farmaco ZMapp a LeafBio (ossia Mapp), con la quale dividerà gli eventuali shares derivanti dalla commercializzazione del prodotto; ZMapp, che a quanto pare sarebbe stato utilizzato su Brantley e Writeboll, è stato dichiarato “esaurito” da parte della LeafBio, che afferma di averlo distribuito ai richiedenti (a proprio rischio e pericolo e al di fuorid ei protocolli medici “uffciali”) su base gratuita;
  4. Nel “catalogo” Defyrus appare DEF201, un programma basato sui fondi e sul commitment dei NIAID e del DRDC (sanità pubblica statunitense e difesa canadese); ora DEF201 è stato concesso in licenza alla H&P Labs, una società privata canadese con vasto know-howche dovrebbe curarne lo sviluppo e presumibilmente la commercializzazione previo il superamento dei necessari test clinici;
  5. H&P Labs di fatto “rappresenterebbe” Defyrus nel momento in cui DEF201 dovesse rivelarsi idoneo all’utilizzo su esseri umani, traendone chiaramente tutti i benefici del caso.

Conclusione

Due farmaci, ZMapp e DEF201, del tutto sperimentali e senza alcuna autorizzazione all’utilizzo su esseri umani, sono il risultato del lavoro di due aziende indipendenti ma strettamente legate all’establishment sanitario e militare di Stati Uniti e Canada. Lavoro che in primo luogo ha avuto uno scopo preciso, quello di “mitigare” i rischi derivanti da un eventuale attacco batteriologico basato su virus “esotici” o addirittura “sconosciuti”.L’outbreak del virus Ebola dell’estate 2014 ha costituito un’occasione irripetibile per un primo test “in vivo” dell’efficacia dell’approccio, che è sub iudice in un ospedale di Atlanta, dove sono ricoverati i due cooperanti americani infettati dal virus in Africa.

Nonostante l’incidenza statistica di febbri emorragiche e malattie da virus particolarmente letali e pericolosi per la vita umana sia bassa (fatto salvo l’acutizzarsi dell’epidemia di Ebola in Africa nell’estate del 2014), queste aziende sono uscite dall’ambito della sperimentazione “istituzionale”, precorrendo delle chiare intenzioni di commercializzazione dei farmaci promettenti per mezzo di altre società specializzate (Defyrus e H&P Labs, Mapp/LeafBio).

Verosimilmente, il passaggio successivo potrebbe essere quindi l’acquisizione dei relativi brevetti da parte di grosse multinazionali del settore farmaceutico (che finanziano a loro volta le CRO che effettuano i trial clinici), una volta smarcati i passaggi obbligatori della fase preclinica e dei successivi test.

Ecco perché secondo me Gaggi pecca di eccesso di entusiasmo quando afferma:

Dove non arrivano le multinazionali del farmaco (Ebola è una malattia troppo rara per i loro livelli di fatturato) né la ricerca del governo federale Usa, la risposta viene — forse questo è il vero miracolo — da una piccola impresa.

Le multinazionali del farmaco arrivano. Eccome. Solo che arrivano dopo la ricerca del governo federale USA e di quello canadese, per mezzo di due anonime e oscure piccole società (di cui una molto, molto scaltra a curare i propri interessi). Se vogliamo credere alle favole, certo, possiamo credere anche ai miracoli…

9.8.14

Da qualche parte, bisognerà pure cominciare

Da qualche parte, bisognerà pure cominciare.

Ma cominciare (o ricominciare) oggi è una questione che può implicare tutta una serie di considerazioni che rendono il kick-off particolarmente gravoso.

Innanzitutto, questioni di anagrafe: come chiamare un blog nell’epoca della crisi dell’originalità? l’opzione nome-cognome-puntoqualcosa è un filino autoreferenziale. E se uno si chiama Mario Rossi, con tutto il rispetto per i Mario Rossi che popolano il pianeta e che magari tengono un rispettabilissimo blog, su Google dovrà remare contro a corazzate del tipo “gnoccaditurno.com” o “belloccioamericano.net” o “band-di-bimbiminchia.org”. Un’impresa.

Così ho scelto di giocare un po’ sulle parole. Partendo dall’elemento “uno” di un blog, il post; e poiché “post” veniva già usato dai latini ben prima dell’avvento della Silicon Valley, per indicare il “dopo”, ho riflettuto su che cosa rappresenti il “dopo” ai nostri giorni. Ed è forse fin troppo facile accorgersi che oggi stiamo vivendo un presente che è il “dopo” di una moltitudine di eventi che ci hanno inghiottiti, masticati e risputati fuori in una realtà che - mettiamoci l’animo in pace - non è la realtà dei nostri padri. Siamo sopravvissuti a una discontinuità spazio-temporale che ci è esplosa sotto gli occhi, nelle nostre vite e che oggi ci lascia con molti più dubbi di quanti ne avessimo dieci, quindici e forse anche venti anni fa. Il risveglio è brusco e ci sta lasciando sul palato la stessa pesantezza che si ha la mattina dopo una serata molto alcolica.

E’ forse quello che mi spinge a scrivere qualcosa di questa epoca, perché ne rimanga una piccola traccia anche per me stesso, una sorta di diario dinamico in cui mi sento di rendere viva una serie di riflessioni che altrimenti rimarrebbero confinate dentro di me. Senza la pretesa di essere originale, stilisticamente attraente, giusto, sbagliato e dannatamente… mainstream

Forse qualcuno rimarrà un po’ deluso. Non parlerò di politica, essenzialmente. Quindi non aspettatevi dotte dissertazioni sul significato del capitalismo, del post capitalismo (quello filosofico) e delle rispettive alternative. Meglio: penso che scriverò anche di politica, ma solo perché gli eventi correnti certe parole te le tirano proprio fuori dalla tastiera. E per quello che mi verrà da dire, mi curerò poco della sensibilità di chi legge se ritiene la mia posizione inconciliabile con le sue convinzioni. Non sono un uomo di destra (pur avendola votata), né di sinistra (pur avendola votata), non sono un uomo di centro (pur non avendolo mai votato). Mi sento piuttosto un sopravvissuto, un “postqualcosa” in questa marmellata ideologica, umana, tragicomica, che è diventata la politica in Italia negli ultimi vent’anni. Da quando più o meno ho cominciato ad interessarmente direttamente.

Quindi, fatte le dovute presentazioni, spero che ritornare a scrivere su di un blog mi tolga un po’ di ruggine dalla punta delle dita: non ho la pretesa di piacere e di emozionare. Ma spero che magari qualcuno si prenda la briga di dirmi come la pensa. Accetto anche di essere mandato a quel paese, meta come un’altra in un’estate mai decollata e un po’ appiccicosa: purché lo si faccia con garbo e arguzia…